mercoledì 18 aprile 2012

Natale

Ero a spasso per la città con una ragazza, e come mi capita ogni anno per le feste natalizie sentivo l'impulso irresistibile di andare a trovare i vecchi nei ricoveri.
Faceva freddo, ci annoiavamo e i ricoveri a Natale non sono poi tanto male e sicuramente infinitamente meglio dei centri commerciali. Tutti pieni di festoni e ghirlande natalizie su muri, appesi tra le porte della sala mensa e attorcigliati alle gambe dei carrellini per deambulare.
"Senti, andiamo al Ricovero Garibaldi, suoniamo e facciamo finta di essere due nipoti in visita. Il primo anziano che vediamo all'ingresso lo abbracciamo chiamandolo nonno."
Visto che la maggior parte dei vecchi di questi ricoveri economici non vede i familiari dal giorno della rimozione dalla casa precedentemente abitata o comunque ha il cervello troppo in pappa per distinguere due mentecatti che si prendono burla di lui dai veri nipoti, dai vari familiari o persino dalle due piante sempreverdi dell'ingresso, non dubitavo un piano del genere potesse funzionare.
"Sì, ma se anche fosse, cosa ci guadagniamo?" Alla domanda stupida, come solo le donne con le tette grandi riescono a fare, ho già la risposta pronta: "Ci sediamo entrambi sulle sue ginocchia e lo ascoltiamo, hai presente quell’attività passiva da fare con le orecchie?!".
"Non sono convinta", ribatte. "Senti - taglio corto - frequentare gli ospizi o girare a zonzo per la città per me è equivalente visto che non sarà mai come potare gli alberi con lo svettatoio che mi ha prestato il vicino".
Eccoci dieci minuti e infinite rughe dopo sulle ginocchia del vegliardo ad ascoltare storie sulla guerra, mentre altri anziani lontani rosicano invidiosi per l'affetto a loro mancante.
Accorgendoci delle imminenti fratture dei femori e consci che gli ultimi due racconti sui partigiani fossero in realtà trame prese da un paio di serie di Un medico in famiglia con Lino Banfi siamo saltati giù e corsi fuori, verso l'ingresso principale, braccati da ossute braccia e stampelle.
Tornati all'aria aperta, con la pungente aria del vicino inverno che contrastava il tepore malsano dell'interno ho pronunciato ad alta voce la riflessione profonda che chiude il pezzo, mentre lei si preparava ad annuire lentamente, ciglia aggrottate, sguardo verso un punto lontano.
"Vedi, andare via da un luogo di sofferenza e imminente morte, ci ha fatto maggiormente apprezzare quello che abbiamo lasciato prima di entrare; un po’ come mio nonno che uscendo dall'ospedale dove era ricoverata sua moglie, evitava l'ascensore facendo le scale a piedi, volando sui gradini. Non trovi?"
E mi ha tirato un calcio nelle palle, sicura di farmi a posteriori cosa gradita.