Un giorno decidiamo di avere raggiunto la fine. Non la fine di tutto, ma la fine della salita, il punto di massimo, la pendenza zero: avete capito.
Decidiamo però di non rotolare nella valle davanti a noi accompagnati dalla morbida pendenza, ma riteniamo sia meglio ritornare indietro. Indietro dove eravamo già stati e dove avevamo sudato per salire; sudato, oppure sostato, oppure dove ci siamo appoggiati su grandi e forti mani che ci hanno sospinto palpandoci generosamente le chiappe durante il trascinamento. E ci è quasi sempre piaciuto.
Dato che la fine è comunque inevitabile e che il fondo della valle è sempre il fondo di una valle, riteniamo che la cosa migliore sia di ripercorrere il cammino, a ritroso.
Iniziamo rileggendo l'ultima circolare che avevamo fatto girare con la nostra firma in calce e vi apportiamo qualche modifica. Non importa se il risultato sarà una circolare di 10 giorni fa, che non potrà più girare, che non dovrà più essere letta, perché questa correzione non sarebbe mai stata fatta, altrimenti.
Passiamo poi a smontare e a riassemblare quel mobile in scatola di montaggio, con viti nuove autofilettanti per truciolato di diametro maggiore, ora con più giri di cacciavite e con pannelli esattamente a 90 gradi, rinforzati con supporti agli angoli. Carichiamo di libri letti e mai sfogliati, finti piaciuti e veramente amati mentre la livella resta in bolla: possiamo proseguire indietro.
Ritroviamo quella ex dell'anno prima (ora è felice, ma il vostro progetto è deliziosamente assurdo per rifiutarsi). La prima volta era stata veramente deludente? Siamo pronti a far meglio perché sappiamo ora come si fa meglio; ci ricordiamo tutte quelle cose e cosette che abbiamo ascoltato e respirato durante tante notti. Le parole che ci siamo detti, miste alle risate, miste a velati consigli contenti di dare contenti di ricevere. Contenti finalmente, ora, di applicare.
Se si è già fatto alba, rivestiamoci che la discesa non ammette troppe soste. C'è quell'esame da rifare, possibilmente uguale, con tutte le risposte in fila, pochi secondi per pensare e tutto il resto del tempo per rispondere e scrivere, alla lavagna, a fiume, tutto uguale ma con calzettoni ora a righe rosse. Il secondo del Kreutzer, uguale da 200 anni, che facciamo con un allungamento in quelle ultime battute, ancora una volta per l'ultima volta.
Ritroviamo quella fidanzatina delle superiori, di un'estate in vacanza vicino al mare, lontani per la prima volta da casa nostra. Ora ha un lavoro, e vive al nord. Erano stati soltanto un baci, dati anche male, per fare i grandi. Ci riproviamo perché magari ora funziona ma anche se ora funzionasse non avremmo tempo di aspettare. I disegni di Pinocchio da finire e il 30 che avevamo fatto ma il 31 che non è mai arrivato.
Non possiamo aspettare perché ci sono tutti i miei vecchi amici da battere a calcio, tutti quelle figure da riempire senza fare uscire il pastello dai bordi. Tutte quelle parole che volevo scrivere senza sapere quali fossero i simboli delle lettere per comporle.
Tutti i suoni che volevo articolare in vocaboli e che ora hanno un timbro così rotondo e nasale. E quella corsa che sembrava infinita, io pronto a ospitare solo e unicamente me, senza sapere perché; una corsa che ora perdo.
giovedì 21 ottobre 2010
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