La direzione è stata il nord, dove ci sono le bionde e i racconti improbabili al ritorno, con gli zaini da ottanta litri, le giacche impermeabili piene di chiusure, i calzettoni di spugna e le carte di credito con circuito internazionale.
Siamo andati a dormire in ostello, dove le lenzuola si noleggiano e il cuscino è soffice di peli pubici altrui, con il cucinotto in camera e il supermercato un'isolato lontano. Poi siamo andati a mangiare ogni santo pasto al ristorante, lasciando mancia proporzionale alla lunghezza delle gambe e richiedendo per vezzo la ricevuta.
Nel frattempo, tra la consegna dei bagagli all'andata e l'atterraggio del ritorno, ci siamo lamentati di tutto. Le scarpe che fanno male e il cibo che ha un sapore diverso dal nostro ristorante con ampio parcheggio del venerdì sera.
Abbiamo pagato tutto tanto, visitando musei sofisticati dove i materiali edili imitano la natura e passeggiando con sarcasmo tra gli asiatici in fila per tre.
A metà viaggio si sono contati i giorni prima del ritorno rimpiangendo forma e altezza del WC di casa.
Magari improvvisare una domanda sulle nefandezze di Hirst alla hostess del museo in pausa pranzo non può esser considerato brillante, ma non si fraintenda: le città erano tutte molto carine, pulite e ordinate, poi comunque le bionde c'erano e sono sempre più belle sfocate da lontano. Purtroppo saltavano veloci da un locale all'altro, parlando un inglese nettamente più veloce del nostro, leggere di 10 o più anni con il peso altrove giusto da non lasciarci in pace.
Come dicevo le scarpe ai piedi facevano male, tutto il giorno in giro ci si stanca, "andiamo a dormire un po' prima che domani ci svegliamo presto e magari cerchiamo un locale che faccia la pizza con il bordo alto".
Poi tornati a casa andiamo a fare aperitivo alla multisala, così siamo direttamente lì per il film.
Viaggiare è cambiare tazza sulla quale stare seduti.
1 commento:
le mie prigioni!
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