martedì 23 novembre 2010

Widget

Un mio amico che aveva del tempo libero visto che la notte non dorme tanto ha creato questo widget che ne caso abbiate un Mac scariate da qui e vi permette di vedere i miei post.


Non mi è ben chiaro perché dobbiate mai fare una cosa del genere al posto di collegarvi al mio sito, ma magari voi siete gente fatta così e non vi biasimo.




giovedì 11 novembre 2010

Muro

Mi sembra che ci sia uno di quei muri invisibili, quei fottutissimi muri invisibili che rappresenterebbe un mimo da strada drogato che non si è nemmeno mai riuscito ad iscrivere al Dams talmente il peso del suo anticonformismo gli impedisca di firmare un documento o tantomeno pagare delle tasse.

Il mimo con le sue mani, senza guanti, finge di toccare il bordo del muro, finge di aggrapparsi al muro mentre invece si sta ergendo sulle punte dei piedi. Finge di sentire la superficie del muro tenendo le mani belle spalancate con i palmi rivolti allo spettatore. Finge che questo muro non si oltrepassi e ci suggerisce la massiccia fisicità della costruzione: preme contro ma il muro resta lì; la finta contrazione dei suoi muscoli e l'espressione facciale simulano l'impossibile sforzo di spostare il muro che non c'è.

E magari altre tre pareti si aggiungono al singolo muro e lui è schiacciato dentro, all'interno di un misero metro quadrato, un metro di lunghezza, un metro di profondità. Tenta di respingere le pareti che collassano addosso a lui, ma lo sforzo è immane, il muro resta lì, lui stretto tra le quattro pareti.

E invece il muro non c'è, io sono qui e tu sei lì, dall'altra parte, fingiamo di credere che ci sia.

martedì 2 novembre 2010

Abbandonate tutto

"Quasi quasi mollo tutto e apro un chioschetto di piadine in una isoletta nel pacifico!"

Fallo! Telefona al tuo capo, o forse basta anche all'amministrazione e comunica che stai per mollare tutto, senza preavviso, domani stesso. Anzi oggi, oggi parti e domani non sarai già più al lavoro a timbrare il cartellino in corridoio. Ho chiamato io, vai tranquillo; gli ho anche parlato di quel posto dove dovevano mettersi le loro patch.

Ti aiuto io a fare le valige, tanto ti servono giusto due braghini estivi e qualche camicia con tanti fiori azzurri e verdi. Te la sto piegando io non ti preoccupare, ti prendo anche le infradito con lo strappo, tu intanto acquista i biglietti su internet con la carta di credito, tanto anche se andrai in rosso sarà l'ultimo acquisto che farai: si cambia vita, non sei contento? Non fare il micragnoso con le low cost, mica stai andando in Spagna per l'erasmus.

Qui la valigia è pronta, tieni il cellulare. Non hai credito? Dio Santo, ma avevi un lavoro o facevi finta? Tieni usa il mio. Sì, chiama i tuoi. Ti dico, chiamali ora a casa prima che vadano al Bingo.

"Ciao mamma... si ciao... no niente... sì... volevo dirti... sì ho capito... sì... ma un attimo ascolta... Parto."

Taglia corto, devi chiamare la tua morosa. No, assolutamente, lei non parte con te, la cosa mi pareva fosse chiara. Ma non dicevi sempre che ti toglieva l'ossigeno? Ecco questa è l'occasione giusta. L'hai salutata? Gridava? Sai le donne come sono fatte, le passerà.
Ottimo, scendiamo, ti accompagno io all'aeroporto. A che ora hai l'aereo? Domani?!? Dai, su, andiamo ora, ti compri un paio di giornali e qualche rivista e vedrai che il tempo passa in fretta.
Dobbiamo anche passare dalla banca, ritiri tutto quello che hai. Ti ho già riempito la valigia rossa di farina e strutto. Sai vero come si fanno le piadine?

Tranquillo andrà tutto bene, vita nuova, sai che bello il mare, il sole, le ragazze indigene. Addio ufficio, giacca, i capi, le pause caffè, i pranzi di lavoro. Sole e mare.
Poi quando sei la mi scrivi, magari un giorno abbandono anche io tutto e ti raggiungo, sarebbe bellissimo. Finalmente liberi. Ciao.

giovedì 21 ottobre 2010

Kreutzer due. Ancora.

Un giorno decidiamo di avere raggiunto la fine. Non la fine di tutto, ma la fine della salita, il punto di massimo, la pendenza zero: avete capito.
Decidiamo però di non rotolare nella valle davanti a noi accompagnati dalla morbida pendenza, ma riteniamo sia meglio ritornare indietro. Indietro dove eravamo già stati e dove avevamo sudato per salire; sudato, oppure sostato, oppure dove ci siamo appoggiati su grandi e forti mani che ci hanno sospinto palpandoci generosamente le chiappe durante il trascinamento. E ci è quasi sempre piaciuto.

Dato che la fine è comunque inevitabile e che il fondo della valle è sempre il fondo di una valle, riteniamo che la cosa migliore sia di ripercorrere il cammino, a ritroso.

Iniziamo rileggendo l'ultima circolare che avevamo fatto girare con la nostra firma in calce e vi apportiamo qualche modifica. Non importa se il risultato sarà una circolare di 10 giorni fa, che non potrà più girare, che non dovrà più essere letta, perché questa correzione non sarebbe mai stata fatta, altrimenti.

Passiamo poi a smontare e a riassemblare quel mobile in scatola di montaggio, con viti nuove autofilettanti per truciolato di diametro maggiore, ora con più giri di cacciavite e con pannelli esattamente a 90 gradi, rinforzati con supporti agli angoli. Carichiamo di libri letti e mai sfogliati, finti piaciuti e veramente amati mentre la livella resta in bolla: possiamo proseguire indietro.

Ritroviamo quella ex dell'anno prima (ora è felice, ma il vostro progetto è deliziosamente assurdo per rifiutarsi). La prima volta era stata veramente deludente? Siamo pronti a far meglio perché sappiamo ora come si fa meglio; ci ricordiamo tutte quelle cose e cosette che abbiamo ascoltato e respirato durante tante notti. Le parole che ci siamo detti, miste alle risate, miste a velati consigli contenti di dare contenti di ricevere. Contenti finalmente, ora, di applicare.

Se si è già fatto alba, rivestiamoci che la discesa non ammette troppe soste. C'è quell'esame da rifare, possibilmente uguale, con tutte le risposte in fila, pochi secondi per pensare e tutto il resto del tempo per rispondere e scrivere, alla lavagna, a fiume, tutto uguale ma con calzettoni ora a righe rosse. Il secondo del Kreutzer, uguale da 200 anni, che facciamo con un allungamento in quelle ultime battute, ancora una volta per l'ultima volta.

Ritroviamo quella fidanzatina delle superiori, di un'estate in vacanza vicino al mare, lontani per la prima volta da casa nostra. Ora ha un lavoro, e vive al nord. Erano stati soltanto un baci, dati anche male, per fare i grandi. Ci riproviamo perché magari ora funziona ma anche se ora funzionasse non avremmo tempo di aspettare. I disegni di Pinocchio da finire e il 30 che avevamo fatto ma il 31 che non è mai arrivato.

Non possiamo aspettare perché ci sono tutti i miei vecchi amici da battere a calcio, tutti quelle figure da riempire senza fare uscire il pastello dai bordi. Tutte quelle parole che volevo scrivere senza sapere quali fossero i simboli delle lettere per comporle.

Tutti i suoni che volevo articolare in vocaboli e che ora hanno un timbro così rotondo e nasale. E quella corsa che sembrava infinita, io pronto a ospitare solo e unicamente me, senza sapere perché; una corsa che ora perdo.

mercoledì 29 settembre 2010

Le domande dell'uomo della strada: la nostra società è sessista?

Assolutamente! La società non può continuare ad essere divisa in uomini e donne, così come oltre agli animali, ai protisti, ai funghi e alle monere vi sono anche quegli studenti con sciarpe e maglie intorno al collo d'estate.

Soprattutto la donna non può essere esclusivamente considerata una madre-donna-di-casa-sforna-bambini-lava-calzini-puttana. Ci sono voluti secoli e decenni e un sacco di minuti per ottenere tutto questo. Basti pensare che nell'antico Egitto erano gli uomini che se la tiravano.

Nella preistoria quando ancora la gente non guardava alle stelle per farsi delle domande (chi ci ha dato tutto questo? ci presenteranno il conto prima o poi?) la donna svolgeva tutte le mansioni che ora classifichiamo come maschili. Usciva a cacciare e dava virili pacche nel sedere alle altre donne-scimmia. L'uomo stava in grotta per farsi treccine ai peli e poi quando la donna rientrava con il cibo, lo preparava per essere mangiato parlando della sua giornata noiosissima.
A seguito del prepotente avvento della Storia, l'uomo rimaneva a casa per ricamare strofinandosi con unguenti al mughetto, mentre la donna faceva la guerra, dipingeva soffitti, inventava ruote dentate, componeva canoni e dava risposte a domande che si era fatta il giorno prima (che significato ha l'esistenza? pi greco!). Tutte queste donne si facevano chiamare con nomi maschili per modestia.

In ambito sessuale a lungo si è dibattuta la reale esistenza del punto G maschile che attualmente chiamiamo pene. Al contrario le donne avevano 4 punti G, come i 4 punti cardinali o come i 4 re di Roma se si tralasciano gli altri 3, che vennero poi barattati con l'autocoscienza femminista.

Con il passare dei secoli la donna è riuscita a precludersi con estenuanti battaglie sociali, tutti quegli ambiti della vita nei quali poteva spaziare ed esprimersi liberamente da sempre. Modestia? Umiltà? Inettitudine? Gli storici stanno ancora indagando, svogliatamente.

Al giorno d'oggi organismi internazionali si occupano dell'immagine della donna nella pubblicità. Uno spot televisivo di assorbenti internti con sole donne è considerato fortemente sessista e va scoraggiato: la donna imbottita e felice che fa gli sport estremi e le capriole non va più bene. Al loro posto ci mettiamo anziani con i bianchi capelli candidi e il bambino nuovo della Kinder. Slogan: "Se vanno bene a loro, figuriamoci a chi ha la vagina".

martedì 7 settembre 2010

Artisti in strada

Ieri ero in giro per strada, per guardare gli artisti da strada. E già qui partiamo male: per come sono stato abituato gli artisti dovrebbero stare chiusi dentro a teatri o musei, dietro a ad asettiche bacheche di vetro, tutti imparruccati canuti, con pomposi abiti scuri dagli altissimi colletti inamidati trasbordanti di pizzi e merletti da ogni orifizio; non certamente in strada in mezzo alla povera gente che non si può permettere di stare al chiuso a divertirsi in solitaria, guardando altezzosa dal retro di un monocolo cerchiato in oro.
Poi non si paga il biglietto, e non vi è solo la questione del non divertirsi quando non si paga, vi è il principale problema che quando non si paga, quando una cosa è gratis, tutti accorrono per farla. Ma dico io, Dio mio, esistono per caso cose gratis belle? Pensateci bene. Avete pensato, l'amore, il sorriso di un bambino, il sole? Ma scusate, sono letto solo da donne, pederasti e gente che non ha mai seguito un corso di fisica nucleare?

Ci sono anche le bancherelle degli artigiani, tutta gente che nel medioevo avrebbe fatto la fame vendendo questi orologi con il profilo di Elvis ricavati da vecchi 33 giri. Sarebbe stato quantomeno anacronistico, e il volgo, causa la diffusa ignoranza dettata da una dieta esclusivamente a base di legumi, avrebbe perso tempo a cercare il significato della parola sul dizionario. Un libro costava quanto una casa a causa della micragnosa fissazione di non inventare le stampanti a getto di inchiostro meno costose delle stesse cartucce (o di abitare accovacciati sotto i frontespizi).

Tutto sommato il divertimento è assicurato non dal circo di persone che fanno arte, ma dal circo di persone che guardano gli artisti. Se io vado a teatro ad ascoltare il Clavicembalo ben temperato, non indosso un frac, quindi perché se ascolti musica balcanica ti vesti come se ti avessero ricoperto nudo di pece e poi immerso in un cassonetto di raccolta vestiti usati?

Le gare di Formula 1 non dovrebbero essere decisivamente determinate dalla griglia di partenza. Farei come le corse al trotto: partenze in parallelo da dietro di una safety car. Certo, ci vorrebbero piste più larghe, almeno nel tratto di partenza e meno concorrenti. Ho fatto uno schema per spiegarlo:

Nello schema si vede la partenza nell'ampio rettilineo iniziale, la pista poi diventa un nastro di Möbius. In piccolo ci sono io che sono sempre invitato a tutte le gare e feste dopo-gara.

Il messaggio è questo: non tutto quello che si fa per strada è una figata solo perché fatto da gente a piedi nudi, non tutte le cose altisonanti e pompose sono detestabili perché non ci trovate gente a piedi nudi.

giovedì 19 agosto 2010

Memo magazine - agosto

Se volete sapere cosa ne penso dell'aperitivo su un giornaletto coloratissimo che si occupa di aperitivi leggete qui, pagina 36.

domenica 8 agosto 2010

Io?

Sono al "Brico Tu". Tardo pomeriggio. Non ricordo come ci sono arrivato. Ricordo che cerco cardini per sportelli. Ci sono tanti tipi di cardini per sportelli con una luce forte al neon che abbaglia scaffali e persone. Cardini normali a perno fisso; cardini a scatto con molla, regolabili o non regolabili. Da incastro con viti o da incasso in un foro circolare.

"Ehi, Paolo, ciao." Compagna delle superiori che porta passeggino. E' sposata da un paio di anni, lavora da sei facendo fatture, il bambino ha quasi un anno e mezzo, indossa una canottiera bianca.

...e tu che fai?

Io cerco lavoro, ho insegnato ma avevo supplenze, ora sto aspettando che inizi l'anno scolastico nuovo.

Io rubo i taxi, ma non avendo la patente mi arrestano cinque minuti dopo, appena gratto la frizione senza aver fatto partire il tassametro.

Io studio, devo finire l'università. Sono un po' fuori corso con gli esami, ma me ne mancano pochi e poi ho la tesi.

Io recito con un gruppo di teatro-danza. Stiamo portando in scena delle novelle di Kafka con un gruppo di musicisti indiani. E' tutto un gioco di luci e colori. Non si deve pensare che Kafka rappresenti necessariamente il nero del nostro animo, capisci? la parte buia o queste cose. Kafka è un mondo di colori, ma colori normalmente osservati contro luce e quindi scuri, quasi neri. Se sposti la luce davanti avrai un arcobaleno. Noi rappresenteremo tutto questo con dei ballerini che eseguono delle performance mentre recitiamo le novelle in diversi piani narrativi sovrapposti. Il coreografo è un autentico genio.

Io faccio il barista in quel locale vicino al mare, quello che ha cambiato gestione un paio di anni fa. Lavoro dalle 4 fino alla chiusura. Se passi ti offro qualcosa.

Io lavoro in una ditta di componenti elettrici come controllo qualità da quando mi sono laureato. Sono stabile da maggio scorso. Faccio su e giù tutti i giorni.

Io sono astronauta. Non ci sono missioni con italiani a bordo previste nei prossimi anni ma continuo ad allenarmi in una enorme vasca per simulare la gravità zero.

Io sono Dio. Se smetto di credere a tutto questo o a me stesso, spariamo tu e io e tutto quello che ci circonda. Anzi, no, io dovrei restare.

Io sono te. Non e' la prima volta che ti capita, penso sia una crisi post parto, ma non farti vedere troppo in giro a parlare da sola.

Io sono morto. Al di la non c'è niente quindi ho scelto di reincarnarmi che è una cosa gratuita e anzi parecchio ecologica, si recicla l'anima. Prima sono stato un commercialista, poi un bancario; infine un meccanico Fiat.


Io? ti ho sposato. Questo è mio figlio. Corri forte prima che quel tipo la in fondo si accorga che non ci siamo piu'.

lunedì 26 luglio 2010

Les restaurants invisibiles (Omaggio a I.C.)

Al ristorante di Thoiry l'avventore entra e viene accolto subito a braccia aperte da tutti i dipendenti del locale. Il gestore lo aspetta già fuori dalla porta e accoglie con un sorriso, menù alla mano. Subito l'avventore viene denudato dai suoi abiti cittadini e vestito da cameriere, da cuoco oppure con gli stessi abiti del gestore. L'avventore viene invitato a svolgere la mansione consona agli abiti che gli sono stati forniti, mentre uno dei lavoranti del ristorante prende posto a tavola e inizia ad ordinare.

La qualità del servizio si misura nell'abilita dell'avventore di svolgere il ruolo assegnatoli e la soddisfazione rispetto al servizio offerto consiste nell'autovalutazione fatta dall'avventore stesso del proprio lavoro.

E' capitato di vedere avventori, cuochi di altri ristoranti, soffrire di eccessivo perfezionismo ed uscire crucciati dalla propria visita al ristorante rivali. Altri avventori, sprovveduti passanti affamati, si sono ritrovati a sbagliare ordinazioni e a distruggere rovinosamente decine di piatti uscendo illuminati da un beato sorriso.

Lasciai Thoiry dopo due giorni.

Alla locanda di Poully si entra e ci si siede. Nessuno si preoccupa di chiedere in quanti si è, nessuno vi indica dove accomodarvi e nessuno vi porta una carta dei vini o tanto meno un menù.
In questo ristorante è stata fatta della lentezza del cibo una filosofia di vita. Camerieri e cuochi, assieme all'anziana coppia di proprietari, li trovate nel retro, adagiati su sedie impagliate dondolanti contro le pareti, mentre sono impegnati a fumare o a leggere sonnecchianti qualche pagina di un libro dalle pagine ingiallite dal prolungato contatto con le mani.

Non sperate che vi portino veramente da mangiare. Se la vostra insistenza diventa particolarmente rumorosa e sonora sono capaci di trascinarsi al telefono nero fisso al muro dietro alla cassa e chiamare un fast food che faccia servizio à emporter.

Affamato mi sono diretto nel paesino più vicino mentre la luce del sole appena tramontato illuminava ancora le insegne.

Al ristorante di Gex si vantano di conoscere i clienti da uno sguardo. Vi danno il tavolo che preferite, vicino alla compagnia di persone meno rumorosa e lontani dalla schermo televisivo. Appena avete dispiegato il tovagliolo al posto della carta, arriva direttamente un primo con tanto parmigiano a scaglie come piace a voi ma pochissimo pepe e sale al punto giusto. La pasta è al dente e appena l'avete terminata, ecco seguire una grigliata: tenere le carni ma comunque ben cotte, condite da abbondanti patate fritte o al forno (io non vi conosco così bene) che siete sicuri basteranno per accompagnare la carne fino all'ultimo boccone. Il dolce è delizioso, un perfetto binomio tra il freddo del gelato e il caldo della cioccolata che lo adorna. Il conto arriva appena avete scostato la sedia dal tavolo e rappresenta esattamente la cifra che avreste speso, forse qualcosa in meno.

Lasciate Gex sazi, soddisfatti e a gambe levate, mentre la felice coppia di proprietari del locale sembra ancora salutarvi dall'ingresso principale del ristorante.


Arrivate a Péron completamente satolli...



martedì 13 luglio 2010

1000 cose orribili

Mi è capitato sotto mano questo sito http://1000awesomethings.com dove si elencano un sacco di cose favolose della vita, benché semplici. L'autore ha anche pubblicato un libro con il titolo ad arcobaleno, mentre nel sito ci sono foto di care vecchine che leggono il libro in casa di riposo prima di andarsi a sottoporre alle cure (clisteri perlopiù).

Questo tipo considera awesome cose come "ascoltare le coppie che ti raccontano come si sono incontrati", "mangiar del cibo che non ha il suo tipico colore" oppure, la più amata in generale, la "fotosintesi".

Allora ho deciso con un amico, di rispondere con questo: http://1000coseorribili.blogspot.com.

giovedì 8 luglio 2010

Attività della giornata.

Ieri ero in riunione per trovare un luogo dove permettere alle persone nei film di dialogare che non fosse compreso nei soliti cliché.

Io lavoro per i computer: loro mi comandano con lunghi bastoni che forniscono manganellate in codice binario e se facciamo bene il nostro lavoro ci sorridono, ma non piangono mai.
Quindi non risulta tanto chiaro perché fosse stata indetta quella riunione sui film, ma la cosa da rispettare è non fare tante domande. I computer ci osservano anche quanto crediamo che la webcam sia spenta ed essendo fatti di silicio con parti in segale, non hanno circuiti per annoiarsi.

I cliché nei film sono quegli elementi come le baguette che spuntano dalle sporte di carta del supermercato appoggiate nell'isola in cucina, il tassista che guarda le gambe della ragazza dallo specchietto retrovisore, gli orgasmi delle donne avvolte da coperte, gli uomini che ascoltano le donne che parlano e prendono parte nella conversazione, attivamente.

Quindi dovevamo trovare una situazione dove due persone potessero parlare tra di loro, che non fosse l'ascensore, l'auto o un divano davanti alla televisione.

Tra le opzioni che sono saltate fuori, sono poi finite sulle minute: due fantini all'ippodromo che corrono testa a testa e intanto discutono sui loro rapporti con le donne più alte (tutti disastrosi); dialogo farfugliante tra due che si lavano i denti in due lavandini limitrofi al bagno della stazione parlando di prassi barocca; dialogo tra operai del parco che dipingono un gazebo di bianco (parlano di economia aziendale).

Nessuna di queste situazioni la si riusciva a incastrare dentro un film ambientato nello spazio. Salta su il direttore neo-eletto: "E se lo ambientassimo nel West? Nel West c'erano cavalli e lavandini".
Giustamente una segretaria fa notare che però non c'erano gazebi vittoriani nei parchi e l'ipotesi cade. Ci si aggiorna.

Rientrato in ufficio decido di controllare i contributi che ho versato all'Inps, la maggior parte dei quali in monetine da 5 e 10 centesimi che avanzano sempre nel portafoglio. Richiedo la password attraverso un sito internet, ma me ne danno solo la metà, mentre l'altra metà dopo una settimana arriva per posta assieme a quel catalogo Postalmarket che ho richiesto a nome di mia zia ben 12 anni fa.

Sono 11 mila euro. Ho fatto allora domanda che mi venga restituito tutto in contanti per iniziare a fare una vita svalvolata, con la promessa mano-sul-cuore di morire giovane, ovvero prima dei 57 anni richiesti per la pensione.

Visto che si sono rifiutati, ho calcolato che per avere una pensione di 2mila euro al mese a questo regime contributivo dovrei lavorare per altri 174 anni, che a dire il vero mi sembrano un po' tantini: tutti saranno nello spazio a fare gavettoni in piscine con l'idrogeno liquido e io alla scrivania che poi magari fluttua e non si mantiene in ordine. Con sempre dei computer dietro, forse ben due volte più veloci di quelli di oggi, ma con denti infinitamente più aguzzi.

Questo pare spiegare il motivo per cui tutti i più fighi della storia, Gesù in primis, siano morti giovani.
Giuseppe: se ti lascio la bottega, figlio, a 60 anni poi ti ritiri in pensione?
Gesù: caspita, 60 anni, ma io volevo morire giovane...
Giuseppe: solita idea drogata, morire giovane non è un lavoro!
Gesù: forse ho una idea...
E a dire il vero ci ricordiamo solo delle persone morte giovani, mentre di persone morte vecchie non se ne sente mai parlare e quasi sempre non sono dei miti del rock and roll quindi non erano dei veri ribelli.

Dalla segreteria mi faccio dare un pennarello nero sostenendo che sia per scrivere sui cd. Ho mentito. Vado nel bagno per scrivere qualche volgarità, e ho tempo per constatare che nessuno nei bagni di enti di ricerca scrive mai volgarità. Torno alla scrivania.
- Pronto...
- Salve, sono Monica, telefono per proporle l'acquisto di un vibro-massaggiatore a ultrasuoni...
- Scusa Monica, ma nel call center ti stanno frustando?
- Si...
- Vai pure avanti...
Penso che la storia di cenerentola (vestita male poi diventa bella e a mezzanotte ritorna a casa dimenticando le mutandine e non si fa più rivedere) alla fine sia una bella favola educativa.

martedì 8 giugno 2010

L'ostile libero 1

A pagina 9 trovate un mio articolo, qui.

Il titolo del giornaletto è per fare capire che si è liberi ma anche ostili mostrando i denti e le unghie, si scrive in libertà senza tutte quelle fastidiose regole e quei capi che vogliono soffocare la nostra vena artistica. A chi ci vuole ingabbiare in un sistema di preconcetti e luoghi comuni noi facciamo muso duro, noi diciamo no. Noi vogliamo pensare con la nostra testa e vogliamo fare in modo che la mentalità dei giovani non sia condizionata e subisca un continuo lavaggio del cervello da parte dei media in generale e della televisione in particolare.

La televisione che mostra un modello di vita che non esiste e che nasconde i veri problemi della società dietro un continuo mostrare tette e culi. E queste tette e questi culi che devono essere ben grandi, rotondi e sodi come marmo per coprire i problemi della nostra società.

Quello che persone che stanno su al governo a rubare a man bassa i nostri soldi, i soldi delle nostre tasse (che appena finiremo l'università una volta tornati dall'erasmus e poi facciamo il tirocinio per la tesi e la tesi e poi cerchiamo lavoro e poi interrail per premio e poi ci assumono sottopagati perché ai giovani nessuno crede, pagheremo anche noi), devono comprendere è che i giovani sono il futuro e che è la mentalità della gente che deve cambiare.

Non si può più tacere, perché tacere è sbagliato quanto nascondere la testa sotto la sabbia. E sotto la sabbia si rischia di trovare le siringhe dei drogati che portano l'AIDS.

Alla libertà e magari anche alla giustizia noi diciamo sì, in coro. Assolutamente.

giovedì 3 giugno 2010

Amore da treno

Penso di averla vista al treno fin dal primo giorno, mentre passeggiava annoiata dalla stessa idea della routine dell'attesa. Subito vi è stato un veloce scambio di sguardi: io l'ho guardata e lei ha visto che la guardavo e nel fare questo mi guardava.

Salendo quotidianamente gli scalini che portano al binario, facevo subito correre gli occhi nell'ipotesi del dove l'avrei vista. Dietro una colonna, oppure seduta al bordo di una panchina con la borsetta in mano, altrimenti di spalle con il cellulare, in mano.

Quando la vedevo scrivere al cellulare speravo sempre che stesse scrivendo a proprio me e quindi correvo con la mano in tasca in attesa di una improbabile vibrazione. Ovviamente non poteva scrivermi non possedendo il mio numero, ma vi era sempre la remota possibilità che avesse trovato il mio numero provandone a caso. O forse poteva avere chiesto ad un amico, che magari conosceva di vista un amico che aveva il mio numero. Impossibile?


Avete presente quando ci si sente predestinati, fatti "l'uno per l'altra"? Praticamente la sensazione di conoscere come andrà a finire e semplicemente attendere. L'attesa inevitabile, come una biglia che rotola in un piano inclinato per trovare alla fine della sua corsa il vuoto di un salto da un tavolo e infine un cuscino. Soffice.

Un poeta una volta scrisse che parlare d'amore è come leggere un libro senza parole, senza dare ad intendere agli altri che le pagine che teniamo in mano siano vuote.

Non avevo ansia e facevo passare i giorni in questo nostro lento e complice corteggiamento. Prima o poi sarebbero stati baci, e abbracci e poi ancora baci, foto di baci con abbracci, vacanze insieme con tante foto e un sacco di baci. E una casa insieme e gli amici che la ricoprono di carta igienica, il domopack nel water e il dado dentro la doccia.

Una mattina mi sono avvicinato. Lei si deve essere accorta del mio primo, timido, imbarazzato tentativo di approccio e non ha fatto nulla per respingermi. Sono arrivato al suo fianco e le ho parlato...

Ciao, ehm, prendi sempre questo treno...
Vuoi che mi metta a gridare pezzo di scemo?

giovedì 6 maggio 2010

Student of the Month

Visto che non ho capito perché, ma si sono scordati di intervistarmi per questo giornaletto, l'ho fatto da solo rispondendo alle domande dello studente del mese.

Creative Voices (CV): Tell us a little bit about your job at CERN.
Adriana Telesca (AT): I work for the ALICE experiment in the DAQ team. I have been working on the storage system testing and monitoring and currently I am taking care of some developments concerning the data quality monitoring of the data acquisition process.
Paolo Franchini (PF): Faccio turni durante i quali catturo le formiche sotto dei bicchieri. La sera quando nessuno mi vede le libero fuori dalla finestra. Una volta ne avevo cinque sotto un bicchiere e altre quattro sotto un altro.

CV: Where are you from?
AT: I am from the south of Italy, a town called Lecce (like “milk” in Spanish and at the bottom of the heel of the “boot” (the shape of Italy), I always say this to make people understand where I come from)
PF: Ravenna. Quando però all'estero me lo chiedono rispondo Berlusconi, oppure Mandolino.

CV: What is your position at CERN and how did you end up here?
AT: I am a Marie Curie fellow. I got here because a friend working at CERN told me how great it was, I decided to give it a try and apply.
PF: Principalmente nel campo del computing, poi ritiro i vassoi al Ristorante 1. Un mio amico me ne parlava malissimo, allora abbiamo scommesso...

CV: Who won?
PF: Indovina...

CV: Tell us one thing you like about CERN (or Geneva) which your country doesn’t have.
AT: I like that CERN is a place where different cultures meet and the feeling of being in a place where things happen. As for Geneva, I like the orderliness and the way things work perfectly (which of course, and unfortunately, is not the case in my country).
PF: Anche a me diverte vedere persone di diversa cultura e nazionalità rifiutarsi stizziti di lavare il vetro della mia macchina.

CV: And now something that you dislike about CERN (or Geneva)…
AT: About CERN, I don’t like the fact that too many people go away too fast, this makes relationships more difficult to be deeply established. As for Geneva , I don’t like the individuality of people.
PF: La gente a volte non va abbastanza di fretta, e dopo averti chiesto 'come va?' rimane ad aspettare una risposta.

CV: How would you describe CERN in 3 words?
AT: Stimulating, innovative, great
PF: Supercalifragilistichespiralidoso.

CV: It's just one word, you have 2 words left.
PF: Pisolo e mammolo?

CV: What would you like to see more around CERN? (Ice-cream? Secret pathway? Basketball court? Rabbits? Etc etc…?)
AT: An ice-cream shop (Italian one, of course) would be a good idea, but how about a place where people can practice some sport during lunch time.
PF: Sono indeciso tra un sexy-car-wash e quei distributori di pallette di plastica con dentro la sorpresa che trovavi negli anni '80 all'uscita dei bar.

CV: Please, make a decision...
PF: Le pallette.

CV: Is CERN how you imagined it to be or were there any surprises?
AT: Having read “Angels and Daemons” before coming to CERN, I was imagining it to be a very formal place, completely new architecture and crazy scientists around. I am still convinced about the last thing but I have been surprised by how it can be informal and productive at the same time and how room for new ideas are given. No comments about the architecture though.
PF: Prima di arrivare credevo fosse un posto grigio con edifici in stile Chernobyl disperso in una bellissima nazione piena di verde, montagne e mucche, all'interno del quale la gente mangiasse leggendo manuali del pc o si costituisse in club domenicali dei giochi di società.

CV: What was your best memory during your time at CERN?
AT: There are more than one. The IEEE Real Time conference in Beijing, the celebration after the exam in the CERN School of computing and the first collisions in ALICE.
PF: Quella volta che ho trovato dentro la macchinetta degli snack all'ostello un pacchetto di noccioline che qualcuno si era dimenticato di prendere.

CV: If you can bring something with you from CERN back to your home country, what would it be?
AT: The plant in my office, the coffee breaks with my group, the magnetic cutlery of Restaurant 1 and its cous cous. Seriously, I will bring the consciousness that the world is full of different cultures and that we should all make an effort to understand everyone’s point of view and all the things that I have learnt.
PF: Quelle noccioline, ma sono finite subito subito. A lei avanza qualche nocciolina?
CV: Well, no, really sorry...
CV: Tell us something that you have done since your arrival at CERN which you have never done before.
AT: Having dinner with people coming from 5 different continents.
PF: Usare la doccia come bidet.

CV: Where do imagine yourself to be in ten years time?
AT: I never imagine myself in a precise place, but I think somewhere in Europe.
PF: Principalmente spero non dentro una bara o un'urna.

CV: What was your dream job when you were 5? What changed (or didn’t change)?
AT: I wanted to be a singer. Now I still would like to be a singer, but, since nobody discovered my precious singing skills yet, I restrict myself to singing under the shower and in karaokes.
PF: Volevo guardare ragazze che cantavano sotto la doccia travestito da saponetta. No scherzo, volevo fare il benzinaio. No scherzo, volevo lavorare al CERN, ovvio.

CV: Where do you want yourself to be in ten years time?
AT: I want to be in any place that makes me feel at home.
PF: Nello spazio, a fare il benzinaio.

CV: In your opinion, what is the best place on earth and why?
AT: In my opinion, a best place in the world doesn’t exist. A perfect place with perfect people in the perfect mood, this is what I think can exist.
PF: Penso la maison di Hugh Hefner.

CV: Which do you believe in – reason or intuition?
AT: I believe that intuition is the preliminary step towards reason.
PF: Gesù.

CV: What is your greatest fear?
AT: To loose the ability to think.
PF: Si anche io, ballare le pizziche.

CV: Complete this sentence: Winter in Geneva is …
AT: A relaxing time, spaced out by moments on the mountains and with friends, waiting for the amazing spring and summer …
PF: Beh, credo che sia anche per loro una parola inglese...

martedì 13 aprile 2010

Assieme

Dai cara, questa sera usciamo, facciamo qualcosa assieme. Magari andiamo a mangiare in quel ristorante che ci piace tanto. Io ordino un secondo ma so che tu preferisci un primo.

Ok, due piatti diversi, ma mangiamo assieme e intanto parliamo, assieme. Tu mi racconti la tua giornata, io poi, quando hai finito, ti racconto la mia.
Poi andiamo a vedere un film assieme: io pago i biglietti, ci sediamo vicini e lo guardiamo assieme. Condividiamo la visione di una cosa che ci piace, in due. A te è piaciuto? Io l'ho trovato così così. Ma sì dai non è stato tanto male in fondo.

Quando finisce il film se ti va facciamo due passi, uno accanto all'altra e ci prendiamo un gelato. Ci sediamo vicini e lo mangiamo assieme. Io prendo nocciola e cioccolata, te frutti di bosco e banana, i gusti che preferisci, in quella gelateria che piace a te, dove siamo andati la prima volta.

Se non ci fossi te come farei?
Se non ci fossi te, caro, come farei io?

Io, forse, andrei lo stesso a mangiare in quel ristorante, poi un film lo guarderei volentieri e un gelato dopo un paio di ore con una passeggiatina non mi farebbe mica male.

Saremmo nello stesso ristorante, magari nello stesso cinema e poi in fila nella stessa gelateria? Ma non saremmo assieme, non ci conosceremmo. Magari ci conosceremmo pure, ma non ci verrebbe in mente di sederci allo stesso posto, oppure mangiare il gelato assieme o tanto meno condividere un tavolo al ristorante.

E' bello stare assieme.


martedì 6 aprile 2010

Franchini va ad Amsterdam

Quando non so dove andare, ovvero come andare per dove devo andare, metto in pratica la soluzione di seguire le bionde. Se ad esempio devo arrivare alla stazione oppure all'ingresso di un museo, penso che la cosa più pratica sia seguire la prima bionda che vi precede; se poi la bionda, che non è detto stia andando dove state andando voi, vi porta nella direzione sbagliata cosa ci avete perso? Nulla, avete seguito un bionda e non mi sembrerebbe mai troppo sbagliata come azione.
Questo vale in Italia dove le bionde non sono tantissime, perciò la difficoltà di trovare una bionda da seguire e l'arrivare a destinazione sono due eventi sicuramente gratificanti se uniti assieme. Il problema può nascere se viaggiando vi trovate nel nord Europa, dove le bionde non mancano. Provateci lo stesso e così ho fatto io in questi giorni qua ad Amsterdam. Ok, sì, aspettate due righe e parlo delle prostitute, un attimo.
Sono venuto ad Amsterdam per un meeting riguardo a questioni talmente complicate e lontane dalla vostra vita di tutti i giorni e soprattutto dalle vite di tutti i giorni della maggioranza delle persone che a ben pensarci sembrano quasi inutili.

Ok, le prostitute. Le prostitute sono tante, illuminate di rosso dietro le vetrine e sempre sorridenti. La cosa che ci si deve mettere in testa è che non vi sorridono perché siete piacenti. Le prostitute vi sorridono perché sorridere è la cosa giusta da fare, non potrebbero fare altrimenti. E questa cosa a fatica entra in testa a noi uomini. Quando una donna ci sorride, visto che siamo così affascinanti, intelligenti e dallo sguardo misterioso, è automatico sentirsi lusingati. Il meccanismo è totalmente automatico come nell'esperimento di Pavlov (1849-1936) che gli ha valso il Nobel, nel quale una fila di ragazze in tenuta da segretaria veniva lasciata spogliare all'aumento della temperatura in concomitanza con una campanella. Successivamente al suono della campanella le ragazze di spogliavano anche senza l'insostenibile aumento della temperatura.
Il sorriso delle signorine dietro le vetrine è finto, il meccanismo è quello del denaro, elemento che invece non riguarda la vita reale, che al contrario è saturata da confettini zuccherosi, muffin al cioccolato, pasticciosi involtini di sfoglia ripieni di burrosa crema.

Nella vita reale le persone non vi sorridono se veramente non voglio mostravi la loro gioia nello starvi a parlare. Non vi chiedono informazioni sulla vostra salute, o sulla vostra famiglia o su quello che avete fatto durante le vacanze, se non sentono la reale necessità di colmare con tali informazioni il loro appetito di conoscenza della vostra persona.

Il problema al ritorno è casa consiste poi nel volere illuminare di rosso le vostre fidanzate dopo averle incorniciate in degli infissi. La stessa cosa del vedere ragazze piacenti e cercare un cursore nel sottopancia da far scorrere di qualche minuto. Un mio amico attendibile una volta lo ha fatto veramente e si è ritrovato a parlare di vegetarianismo su poltrone di vimini. Ha provato ancora: cineforum.

Ma la vita reale ci piace così con la tosse e i peli superflui. Con la carta delle caramelle ai concerti e la parola meridionalità che ci contagia di solarità.
Questo perché nella vita reale le donne bellissime non stanno sempre a sorridervi senza motivo e soprattutto non indossano costumi da coniglia gigante. Se provate nella vita reale a suonare Bach, Bach vi sarebbe grato di essere morto.

Ok non sempre.

lunedì 15 marzo 2010

Aiuto per poveri

Sono povero, ho 3 fratelli e non ho un padre e non ho un lavoro e non ho l'amigdala quindi non ci soffro tanto. Dammi qualche moneta che per te non è niente ma per me può voler dire mangiare perché tanto non so le vostre parole quindi una vale l'altra. Che Dio ti benedica o almeno non ti dia delle piaghe, che per la nostra religione è già tanto.

Visto che non è che sia poi così buono o generoso con le persone, ho deciso di raccogliere qualche bigliettino cotto-e-mangiato (notare l'ironia) per aiutare gli afflitti dalla povertà a chiedere l'elemosina sui treni. Ad esempio qui trovate un pdf che potete portare ad una copisteria, stampare fotocopiare male e minacciare il negoziante con una siringa con la droga e le malattie in modo da non pagare. Cioè non intendo direttamente voi (voi siete ricchi con un bellissimo potatile dove mettermi tra i preferiti) ma magari i vostri amici poveri che vi rubano la wireless dal piano di sopra ne possono trarre vantaggio. Io ad esempio al piano di sopra ho degli albanesi e nonostante questo sono bravissime persone e non ho niente di male da dire contro di loro. Anzi.

Scusami ma sono povero ho 4 fratelli poveri e non ho un lavoro nemmeno uno di quelli poveri. Un paio dei miei genitori non sono più poveri perché sono morti in guerra. Sono solo in Italia con moglie e 4-5 figli tutti considerevolmene poveri. Per favore dammi una moneta che ho fame.


Amico, sono povero anche mio padre era povero e i miei figli i dottori hanno detto che sono poveri anche loro. Deve essere una malattia incurabile e genetica. Non abbiamo i soldi per le cure (per quella cosa della povertà). Per l'amore di Dio una moneta che tutto questo treno a fine giornata mette appetito.

domenica 28 febbraio 2010

lunedì 15 febbraio 2010

San Valentino

Amore, mi piace una sacco quando ti comporti da puttana.

Lo so Amore, lo faccio perché ti amo.

E quando ti vesti da zoccolona, con quella minigonna e gli stivali in pelle.

Per il mio amore questo ed altro.

Poi fingiamo che tu stia andando a battere: io passo dai viali abbassando il finestrino, ti chiedo quando prendi e ti mollo uno sculaccione.

Lo faccio perché sei il mio amore.

E poi ripasso in macchina per insultarti e non ti trovo più.

Mi piace farti divertire amore caro.

E la mattina dopo prima dell'alba ti vengo a riprendere all'autogrill poco oltre il casello dove stai facendo colazione con l'ultimo camionista che ti ha tirato su nella notte, con le calze tutte lacerate e il trucco sfatto.

E' sempre così bello rivederti: ti amo tanto.

Tesoro?

Si Amore?

Potresti amarmi giusto un po' di meno.

venerdì 5 febbraio 2010

Fastweb

Ci siamo fatti arrivare internet a casa e mi sono occupato di fare arrivare il modem fino all'ingresso con tanto di doppino telefonico e corrente.

Ho fatto buchi, steso prolunghe, inchiodato passafili al muro, montato spine, montato prese e in un'ora tutto era fatto.

I coinquilini non la finivamo più di lodarmi per le mie poliedriche capacità. Ciccio è scoppiato in un applauso leggermente commosso per come il lavoro fosse stato eseguito alla perfezione: "Si vede la mano invisibile di un Dio" ha detto asciugandosi gli occhi. Emily preso da un fremito di gioia si è messo a saltellare a piedi uniti e nulla è stato possibile fare per dissuaderlo dal prepararmi una torta al cioccolato, ripiena di Nutella e con scagliettine di cacao a ricoprirla. Impastando gli ingredienti lanciava gridolini e nell'altra stanza Ciccio accarezzava i cavi tirati alla perfezione: diritti e sicuri, pieni di dati.

Mentre mangiavo la torta da solo, già tagliata in fette della dimensione che preferisco (44 gradi), i coinquilini si sono timidamente seduti difronte a me in silente ammirazione. Ogni tanto parlottando tra di loro, rievocavano le mie gesta: "Hai visto la precisione del foro?", "Si certo, preciso ma elegante come un cesello fiorentino". E sospiravano.

Mi hanno fatto qualche domanda sulla realizzazione tecnica del lavoro e io ho fornito risposte ampie che sfociavano nella concezione filosofica della vita.
"Paolo Franchini Box, nella tua mente era già presente l'immagine del progetto compiuto?"
"Carissimi, in verta ogni progetto è una infinita sovrapposizione di errori e successi, fino alla realizzazione finale."
"Scusa la sfrontatezza: quindi la realizzazione finale corrisponde all'idea iniziale?"
"Posso solo dirvi che il fallimento, o il successo, risiede solo nella mente del demiurgo, l'osservatore è mero spettatore della proiezione di una idea".
Si sono guardati negli occhi e si sono alzati, uscendo con un sorriso di gratitudine. Io ho finito la torta, mangiando tutte fette da 44 gradi.

lunedì 25 gennaio 2010

Orfeo dicembre 2009

Dopo avere preso una lampada IKEA, sto cercando di scrivere un rebus, intanto leggete qualcosa di vecchio qui, nella rubrica "Tirare l'acqua".

martedì 12 gennaio 2010

421188

Qualche mese fa mi decido e vado in banca. Stava piovendo e arrivo di corsa alla filiale, dove c'è sempre poca gente e attendo veramente poco per l'ufficio dei conti corrente.
Mi danno questa piccola chiavetta per l'home banking. Piccola, la misuro: ha la vaga forma di una chiave ma misura 57 mm X 23 mm.
Genera i numeri richiesti dal sito internet per autorizzare le operazioni dove si movimentano soldi. Ogni 60 secondi la chiavetta genera un numero nuovo, a 6 cifre che compare sulla finestrella. Un piccolo indicatore a tacche permette di capire il tempo che rimarrà prima della generazione del nuovo numero.
L'ho osservata per 4 ore, quasi cinque e in numeri non si ripetono mai. Ovviamente essendovi 6 numeri le diverse combinazioni di numeri sono 999999, quindi per avere certezza (non la probabilità non nulla) che un numero si ripeta devono passare almeno 695 giorni, quasi due anni. I numeri credo che siano generati a seconda del tempo.

Torno in banca dopo una settimana. Vado dal direttore, una donna. "Lei ne ha visti due uguali?" - irrompo gesticolando con la chiavetta stretta tra due dita - "No", mi risponde, "ma sicuramente se ne devono ripetere due uguali, immagino dopo anni. Ma lei si sente bene?"
Un uomo sulla quarantina mentre sto per uscire mi strattona per la giacca a vento e domanda di parlarmi. Andiamo ad un caffè difronte alla banca, dove dalla vetrina si vede la porta e il bancomat. "Io non ho mai visto due numeri uguali". "Ma scusi", gli spiego con calma mescolando il te, "faccia due conti dopo quasi due anni i numeri si devono ripetere." - "Questo lo comprendo, li ho osservati da 4 anni, li ho scritti uno dopo l'altro, mia moglie mi ha lasciato per questo, ogni sessanta secondi guardavo la chiavetta e ricopiavo il numero. Dopo un anno ho usato un pc per confrontarli tutti. Non si ripetono". E corre via lasciandomi un numero di telefono scritto sul bordo di un tovagliolino. Lo chiamo subito ma trovo la linea occupata. La sera finalmente riesco a parlare con qualcuno. Una voce ferma mi da appuntamento per il giorno dopo vicino ad un chiostro del centro della città.

Un uomo con un cappotto scuro a quadri mi aspetta all'angolo e sembra riconoscermi; non si avvicina, resta immobile e lo raggiungo io; in mano mi mostra avere un mucchietto di chiavette di diverse banche legate da un nastrino porpora: "I numeri non si ripetono, non si ripetono mai in nessun caso. Questo sembra impossibile, ma lasci perdere questa storia per sempre."

Con passo risoluto si allontana e non faccio nulla per trattenerlo. Noto solo dopo un certo tempo che sotto le sue suole, prima celati, vi erano due mucchietti rossi di petali di rosa.

In un paio di mesi mi ritrovo a parlare della questione in ordine con: prete cattolico, rabbino, commessa del supermercato, veterinario, psicologo appena laureato, commessa del Self.

Io: avete dei tasselli per la tappezzeria interna delle auto, come questo?
Commessa: no, mai visti in giro. Ma te sei quello della chiavetta? dei numeri?
Io: si, ma come fai a saperlo?
Commessa: vedi, è come cercare la donna perfetta: c'è quella attuale, ma ce ne sono tante altre. Tu la cambi cercando di migliorare ma al più vari.
Io: usciamo questa sera?
Commessa: inventario, mi dispiace.